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domenica 25 maggio 2008
Flow. Ovvero l'UI Design non é semplice belletto
Le reazioni degli utenti sono state immediatamente divise tra coloro che subito se ne sono innamorati, tessendo le lodi della GUI e dei suoi dettagli curati, e coloro che, invece, hanno cominciato ad indicare in direzione dei suoi innumerevoli bugs e del marketing hype attorno alla applicazione spingendosi fino alla posa pseudo-geek della esaltazione vuota della mera funzionalità a scapito dei dettagli grafici della GUI.
Diciamo subito che ingenerare hype non è ipso facto male se a questo segue un prodotto degno del battage pubblicitario. Non concordo, né mai concorderò, con coloro che, per spirito di illusorio elitarismo, tendono a denigrare senza fondamento un prodotto, qualsiasi prodotto, solo in base ai riscontri di marketing.
Non é poi affatto male considerare una applicazione anche dal punto di vista di mera cura dei dettagli grafici. E' un elemento fondamentale nella User Experience e non va mai tralasciato (come spesso vedo fare, su Windows soprattutto).
Il problema qui è che a tutto questo hype e alla innegabile cura dei particolari non corrisponde un prodotto all'altezza. Questo, sia bene inteso, non per gli innumerevoli bugs che affliggono l'applicazione (siamo oramai abituati ad essere beta testers paganti) ma per una scelta ben precisa di Interface Design che, pretendendo di innovare, butta nel cestino la usabilità.
L'approccio mono-window che Flow persegue non si adatta al task per il quale si propone che é non la semplice esplorazione e manipolazione di cartelle in remoto ma la interazione tra la copia locale e quella in remoto degli stessi files.
Storicamente questo approccio ha un genitore che possiamo vedere in azione in qualsiasi software destinato alla operazione di diff/merge su files.
Apple FileMerge, ad esempio.
Qui il file viene comparato linea per linea con il proprio antecedente o conseguente in cerca di variazioni che si andranno opportunamente a incorporare nella versione che andremo a considerare definitiva.
Il task che viene associato ad un client FTP è proprio quello della navigazione sincronizzata, un primo controllo delle versioni tra locale e remoto, l'upload ed il download di files verso e da remoto. In altre parole, la interazione tra locale e remoto. Per questa semplice ragione, Flow fallisce il suo compito in quanto costringe l'utente ad avere un'altra applicazione esterna aperta ed attiva per portare a termine con successo quello che dovrebbe essere il suo fine primario.
Occorre infatti avere una finestra del Finder in supporto altrimenti l'utente sarà impossibilitato a fare nient'altro che operazioni sulle cartella in remoto a partire dalla cartella in remoto, in modo chiuso ed esclusivo.
L'utente quindi si trova intrappolato nella applicazione e per trovare una via efficace di uscita dall'impasse deve ricorrere ad ancore di salvataggio esterne.
Questo è cattivo Interface Design in quanto una cosa è cercare appoggio in applicazioni specifiche per task specifici che esulano dal compito primario della applicazione (aprire un file testuale per modificarlo dal client ftp stesso, ad esempio), un'altra é ricorrere ad aiuti esterni per portare a termine la operazione primaria per il quale un client ftp esiste.
Scrivo questo dopo aver tenuto Flow in test per tutto il periodo di prova e ciò che salta immediatamente all'occhio é confermato nell'uso quotidiano.
Innovare nell'Interface Design non é 'famolo strano' né prendere, come in questo caso, un paradigma da una applicazione (in questo caso il Finder stesso, le iApps etc) e trasportarlo senza residui su di un task diverso.
La contaminazione, quando possibile, occorre filtrarla e tirar fuori solo quello che può essere utile rigettando ciò che, a livello di usabilità, ingenera disfunzioni nella efficacia della UI.
Ben venga dunque la cura dei particolari della UI ma che venga dopo un attento studio sul pattern comportamentale dell'utente della propria applicazione e sul task e sub-task che occorre portare a termine.
Molto rumore per meno che nulla, potremmo dire.
sabato 24 maggio 2008
La metamorfosi disegnata da Peter Kuper
Ispirato, più che nel tratto nella intenzione, dal quel genio del fumetto di Winsor McCay, arriva sugli scaffali delle librerie italiane per i tipi di Guanda la trasposizione in Graphic Novel, a cura di Peter Kuper, di uno dei capolavori della Letteratura.
La metamorfosi di Kafka, visionaria già di suo, non risulta sfigurata, come spesso accade nelle trasposizioni, dal disegno di Kuper che riesce a tenere il passo con alcune tavole, come la seconda immagine poco sopra, degne di nota. Qualche soluzione, non molte ma vi sono, un pò troppo azzardata nel lettering ne mina la piena godibilità.
La scelta, ovvia, del Bianco&Nero non fa che sottolineare l'ambientazione in molti passaggi notevolmente resa mentre qualche trucchetto da striscia di troppo poteva essere evitato tranquillamente.
Ottimo acquisto, costa veramente poco, per un ottimo libro. Non un capolavoro nel suo genere ma da avere senza ombra di dubbio.
Ergonomics anyone?
Non pratico. Ergonomia zero. Industrial Design al suo grado sottozero.
Come si suppone l'utente interagisca con tutto questo insieme?
Monitor troppo lontano dall'utente con alcuna possibilità di scostamento sull'asse z in grado di alleviare la scomodità di questa posizione.
Oltre ciò, dalla foto, possiamo dedurre un assurdo posizionamento di quest'ultimo rispetto alle porte e al CD Bay. L'utente é infatti costretto, dalla posizione del monitor, ad una determinata distanza dai lati del Desk che rende di fatto irraggiungibile il lato sinistro dove sono posizionate le porte, il pulsante di accensione ed il CD Bay a meno che non si sporga, abbandonando la posizione di lavoro, per raggiungere questo lato.
Taccio su altri problemi che, evidentemente, possono presentarsi (espandibilità, dissipazione del calore etc).
Infine, come dettaglio, uno slot loading invece del solito cassettino in un prodotto che vende se stesso come 'futuristico'?
venerdì 23 maggio 2008
Account forzato. Usabilità del checkout
Rendete facile fare affari con voi. Tenete bene a mente questa regoletta.
Barnes & Noble, freschi di redesign, applica perfettamente questo principio.
L'utente può procedere al checkout senza creare nessun account ma immettendo, una tantum, solamente i dati che occorrono per portare a termine la procedura di acquisto
Al contrario, il solito BOL
costringe l'utente alla apertura di un account per procedere alla transazione.
Il web marketing inizia ben prima di avere un web site già bello che finito e coinvolge direttamente l'UI Designer nelle primissime fasi di studio. La usabilità di questi steps cruciali in un e-commerce è, infatti, quantomeno imprescindibile e avrà ricadute considerevoli, in positivo come in negativo, sulla percezione del Cliente riguardo il servizio che si offre e, di conseguenza, il Brand.
La differenza tra un checkout usabile ed un calcio negli stinchi al cliente é tutta in queste immagini.
giovedì 22 maggio 2008
BOL e IBS. E-Commerce da rifare.
Ve ne propongo tre.
Notate differenze?
Dopo la scelta di un libro e la sua aggiunta al carrello abbiamo da una parte Amazon con i suoi consigli per ulteriori acquisti basati su ciò che potrebbe interessare, visto il bene messo in carrello.
Dall'altra parte IBS e BOL con...il carrello e basta.
Ora, E-Commerce sta per commercio elettronico il che vuol dire che vi é sempre la magica parolina 'commercio'.
Chiunque vada in una libreria, girovaga, leggiucchia, sceglie qualche testo, ne ripone qualcuno ed infine decide quale o quali acquistare e si dirige alla cassa.
Per BOL e IBS, invece, il commercio non é così.
Secondo il loro modello comportamentale, il cliente gira per la libreria digitale, sceglie un primo testo e subito si trova catapultato, come per magia, in cassa!
Tutto ottimo. Tutto studiato sul comportamento reale del cliente tipo che, secondo BOL e IBS sa già cosa vuole, sceglie in prima battuta e passa direttamente in cassa.
Ma anche se così fosse, rimane sempre la cara e vecchia 'vendita aggiuntiva' che o il libraio o la libreria stessa, come architettura, tenta fino all'ultimo. Basti pensare ai libri che sono sul tragitto che porta dallo scaffale, dove il libro é stato preso, alla cassa e che contengono possibili acquisti ulteriori e ai gadgets messi, in bella mostra, dinanzi alla cassa per tentare all'ultimo acquisto.
BOL e IBS non tentano neanche questo.
O sono troppo onesti e rispettosi del Cliente oppure chi ha progettato la UI non ha mai acquistato un libro in vita sua.
La seconda che hai detto.
Qualcosa non va. L'usabilità dei messaggi di errore
Questo é il modo migliore.
E' inconsistente curare solo il lato del normale funzionamento e poi perdersi, come spesso vedo accadere, nei dettagli dei messaggi di errore. Come accade nella programmazione dove uno degli elementi più importanti é il try catch e cioè la gestione degli errori cui qualsiasi dev dedica giustamente il suo tempo, anche nella costruzione di UI occorre prendersi cura del momento, che arriva sempre, nel quale qualcosa non va.
Ed invece vedo sempre più arzigogoli nella UI a cui fanno da triste controcanto messaggi di errore laconici lasciati alla web application di turno senza personalizzazione né spiegazione, quando necessaria, di quello che é accaduto.
Lasciare l'utente inebetito di fronte una pagina che gli comunica qualcosa in un gergo a lui sconosciuto, spesso accompagnato da un layout completamente diverso da quello che fino a qualche secondo fa stava osservando, non é il modo migliore per curare la usabilità di un web site.
mercoledì 21 maggio 2008
I Web Standards limitano che?!
oppure da fallacia logica ma sento sempre più spesso dire che la 'adesione totale agli standards limita la 'creatività* del web designer'.
Sia detto senza mezzi termini. Questa è una sciocchezza inaudita.
Addossare la colpa di dover ricorrere a fix vari per visualizzare .png con canali alpha a quel bug ambulante chiamato IE, rendendo di fatto non valido il codice, é confondere la causa con l'effetto.Non è che usando gli standards il web site ha problemi di visualizzazione in IE ergo gli standards 'limitano' il nostro lavoro ma siamo costretti ad usare fix perché Microsoft non aderisce agli standards.
Se non si é capaci di implementare una Web UI senza strafare e non tenendo conto delle limitazioni del software che andrà a renderizzare la UI, non é di certo colpa del WSG ma di chi crede che il web design sia 'graficare' e non costruire un framework comunicativo basato su la diffusione di determinate tecnologie con i propri limiti ove il contenuto possa essere valorizzato ed usato. Ed anche, certo, delle software house che se ne fregano di standards condivisi perché cercano il lock-in e, quindi, tentano di limitare quanto più possibile il medium all'uso delle proprie tecnologie.
Si può costruire benissimo una forchetta con manico distorto. Sarà di certo 'originale'. Ma poi sarà usabile nel contesto appropriato? Questo é quanto si cercava di dire altrove riguardo la forma mentis e la progettualità. La usabilità é il fondamento del web design in quanto prende in considerazione, sin da subito, il medium nel quale questo design andrà a vivere.
L'opera che, nel corso degli anni (chi di voi ricorda le prime battaglie nel lontano 1998. Gasp! Son proprio vecchietto), il WSG e tutti noi abbiamo svolto costituendo vari gruppi di pressione, alzando polveroni, chiamando le software houses a rispondere delle loro mancanze è di fondamentale importanza e non solo per il ristretto nugolo degli operatori del settore.
E' di capitale Interesse anche per il cliente. Usabilità, accessibilità, aderenza agli standards assicurano che ciò che si vuole comunicare, il prodotto che si vuole vendere, giunga a quanti più potenziali clienti possibile e che il medium che permette questa trasmissione sia pienamente godibile. Un cliente che chiude la finestra del browser perché non é riuscito ad orientarsi nel web site é un cliente perso. Un cliente perso é un cliente in meno sul libro contabile di fine anno.
Il web é business non galleria d'arte. Il business si nutre di clienti. I clienti sono, con varie periferiche, alla ricerca di informazioni. Le informazioni devono essere trovate dai clienti e presentate, su tutte le periferiche usate dai potenziali clienti, nel modo più usabile in modo da passare alla vie di fatto dell'acquisto (on line o off line, non importa).
Fino a prova contraria questo è quanto colui che commissiona un web site vuole sopra ogni cosa. Il belletto serve solo per attirare le allodole.
Questo è uno degli scopi del WSG. Invece di lasciarci limitare da lock-in non sistemici, far pressione su chi di dovere perché eliminino i limiti posticci (quelli sistemici essendo ineliminabili). Diffondere la cultura del medium e non il far west del 'cane sciolto'. Aumentare la consapevolezza di un ecosistema complesso e destinato ad influenzare profondamente il nostro modo di esperire la vita.
Come si pretende di affermare la propria professionalità se si vede nel web design solo il lato belletto senza interrogarsi sul medium stesso, le sue finalità, la sua storia, i suoi limiti e le sue potenzialità?
Ma al cliente cosa gliene importa? Ci si potrebbe domandare.
Ma allora come pretendete di affermare una professionalità diversa dal semplice cliccare i bottoni, come il cliente tipico del freelancer vede questa figura, se non mostrate che il vostro lavoro è in diretta e fondamentale relazione con il business del cliente e non semplice accessorio, rispondo.
Se non glielo dite voi, come fa a venirne a conoscenza? Come fate a definirvi esperti della comunicazione (nel web) se poi non sapete comunicare la vostra professionalità?
Come pretendete di vendere i vostri servigi se non comunicate quello che essi possono fare per il potenziale cliente? Insomma, questo è l'abc del marketing!
Quel che più mi meraviglia di tutto ciò é che, spesso, viene da coloro che da poco sono entrati nel business, dai freelancers 'di primo pelo' (nessuna offesa né giudizio di valore ma semplice riferimento agli 'anni di servizio' e alle dinamiche di mercato) e che, dunque, avrebbero tutto l'interesse ad affermare la specificità di questo mestiere, la profonda conoscenza delle dinamiche del web, della comunicazione nel medium in oggetto. Quelli di noi la cui professionalità non abbisogna di essere ribadita e che lavorano con target clienti che queste cose ben sanno non avrebbero alcuna necessità di difendere queste motivazioni.
Eppure siamo qui a farlo.
*lasciamo perdere una definizione di 'creatività' ma mi sarà permesso arguire che, in fase di studio prima ancora che di realizzazione del mockup, non ci vuole molto per trovare vie alternative che, spesso, risultano originali. Del resto, come sanno bene i matematici, la risoluzione di un problema è spesso più creativa del semplice andare a briglia sciolta. Spesso. nel cercare di superare un ostacolo, si trovano sentieri inesplorati.
martedì 20 maggio 2008
In-car Internet. Sarà usabile?
Ne sentivamo discutere da un bel pò. Sempre in stadio prototipale a dar mostra di sé e mai realizzato in un prodotto destinato al consumo.
Infine ecco giungere In-Car Internet, Internet in Auto.
BMW, Chrysler ed altri ancora sono già in linea di produzione.
Dopo le periferiche di convergenza, palmari e compagnia, nuove sfide per i Web UI Designer si profilano all'orizzonte. Come progettare, implementare Interfacce Utente destinate all' In-Car Internet?Cominciamo col dire che la stessa locuzione 'Internet in Auto' nasconde un 'inganno' in quanto lascia credere che Internet, così come lo conosciamo e come siamo abituati ad usarlo, sia lo stesso che, senza residuo alcuno, andremo ad usare in Auto.
Così non é.La navigazione in auto, ovvio, è una esperienza per nulla simile a quella dedicata cui siamo abituati.Quando siamo dinanzi ad un computer la nostra attenzione ha un focus ben preciso e l'attenzione é tutta su questo focus (escluse, ovvio, le 'normali' attività collaterali della percezione).
In auto, invece, ci ritroviamo con una campo percettivo principalmente occupato dal main task (guidare) cui occorre affiancare almeno due ulteriori sub-task (navigare in Internet e consultare i contenuti) quanto più possibile usabili ed usabili in due sensi ben distinti:
- usabili in quanto non molto differenti da ciò che l'utente si attende, dal suo background cognitivo.
- usabili in quanto la dashboard non è di certo un computer ed ha la sua specificità cui la Web UI dovrà adattarsi.
Quindi una UI modificata, come richiesta dalle specifiche del nuovo medium, ma non troppo da spiazzare le aspettative dell'utente.
Come progettare queste UI in modo che il layout, gli strumenti, le funzionalità siano contenute negli schermi delle dashboard senza sacrificarne l'usabilità che, nel caso specifico, sarebbe oltre che sconveniente dal punto di vista del rispetto dell'utente e suicida dal punto di vista commerciale anche pericoloso dal punto di vista primario della sicurezza?
E ancora, quali standards saranno da adottare?
Queste domande frullano anche per la testa dei produttori stessi che, infatti, stanno spingendo per stilare delle specifiche, ottenere assicurazioni, insomma si preoccupano che il loro contenitore abbia poi un contenuto effettivo da mostrare e che lo mostri come l'utente si attende dalla propria esperienza pregressa.
Problematiche di usabilità ed accessibilità, troppo spesso confinate nel minuscolo spazio che Istituzioni e Business affermati dedicano ai diversamente abili (giammai confessarlo!), acquistano maggior valenza in quanto le tecnologie text-to-speech sono a disposizione come veicolo di diffusione nell'In-car Internet. Il binomio usabilità-accessibilità dunque si profila anche in questo caso come strada principale per condurre i contenuti disponibili in Internet alla fruizione degli utenti in nuove condizioni ambientali.
In-car Internet sarà un successo? Secondo gli analisti, si. Ma solo quando la Generazione Y sarà ascesa al trono.lunedì 19 maggio 2008
Piena accessibilità al problema della Accessibilità
Se poi ad aprire le danze è semplicemente il caro* Semplice Mente, allora come si fa a resistere?
Prologo semiserio a parte, é necessario che ci si confronti con queste tematiche, che si veicoli il sapere riguardo queste, che si porti queste esigenze nel proprio flusso di lavoro quotidiano fatto non solo di codice, belletto e mappatura relazionale ma di percezioni, segni, aspettative dell'utente, finalità dello stesso, background semiotico-cognitivo, efficacia della GUI.
Per il tutorialino su Photoshop ed il bordino dashed 1px ci sarà sempre tempo.
*mi perdonerai la confidenza
domenica 18 maggio 2008
Accessibilità. Tra il dire e il fare vi é di mezzo...la burocrazia
Quest'ultimo é uso ripetere, riferendosi ad un concetto fondamentale della psicanalisi lacaniana, che 'tra il dire ed il fare vi è di mezzo pur sempre il dire e per nulla il mare', intendendo con questo enunciato che tra la espressione della intenzione ed il passaggio all'atto vi è una soglia che è mero simbolo soddisfatto di se, autoreferenzialità che solleva dall'attuazione di quanto enunciato. Campo del rimando a segno.
Ricordo ancora la domanda più frequente che mi veniva posta da studenti all’immediato polverone alzato dalla legge Stanca. ‘Quali campi dobbiamo riempire e quali pulsanti cliccare in Dreamwever per rendere il sito usabile ed accessibile?’.
La domanda, per niente banale, rivelava un modus operandi, un approccio al problema, di cui la legge Stanca era semplicemente un segno posteriore, diffuso. Gli ‘operatori del settore’ pare abbiano confuso, insomma, i temi della accessibilità e della usabilità con la mera tecnicalia di title tag, links blu e quant’altro. Qualcosa da curare a website già implementato oppure, al massimo, di cui preoccuparsi in modo generico limitandosi alla verifica tecnica finale.
In verità, progettare un sito accessibile (ed usabile) richiede sforzo ed impegno sin dalle prime fasi del progetto. Inizia con i primi colloqui con il cliente. Prosegue nelle prime fasi delle bozze e continua, passo dopo passo, fino alla pubblicazione del sito on line. È una forma mentis, non posticcia attitudine tecnica. Un fatto ‘culturale’, una ‘vision’ più che regolette da seguire a menadito spuntandole dalla lista. Seguire ciecamente queste ‘regole’ (o linee guida che dir si voglia) non assicura la buona riuscita del progetto come seguire per filo e per segno una ricetta non ci rende cuochi provetti e la conoscenza a menadito del dizionario di una lingua non ci garantisce di saperla poi parlare.
La cura dei dettagli, la passione per l’oggetto culturale preso in esame (l’intero suo campo semantico), la identificazione con bisogni altri da quelli di cui siamo portatori (un esercizio in umiltà), un attento studio del comportamento degli utenti target del sito, queste sono le pratiche da apprendere, diligentemente, ma, su tutto, da cui farci permeare.
Un designer è una spugna. Inessenziale, è ricettacolo di minuti dettagli che ad altri (i non designers) sfuggono.
Come già accaduto con la ISO 9000 e tutta la retorica sul controllo qualità, anche per quanto riguarda la accessibilità ciò che è rimasto dai discorsi, seminari e paroloni è un nugolo di terziario avanzato e bollini ad attestare l'aderenza ad una legge.
Ora, come sa qualsiasi sociologo anche di primo pelo, una cosa è la imposizione di una legge su di un assembramento sociale, un'altra e ben diversa é la aderenza culturale, la permeabilità sua sponte dell'assembramento al contenuto ed al frame culturale della legge in questione.
Ciò che é accaduto è che 'sito accessibile' é semplicemente sinonimo di bollino blu appiccicato sulla pagina, qualche test condotto alla bene e meglio e, su tutto, nessuna comprensione profonda delle dinamiche culturali di cui l'accessibilità è solo un segno e per nulla il fine.
Tipico esempio del malcostume italiano di limitarsi alla lettera e mai comprendere e far propri i motivi è il sito vesuviana.it.
Per chi, i molti, non fossero a conoscenza del cosa sia questa vesuviana, diamo due parole due di background.
Semplicemente il mezzo più usato per spostarsi da Napoli a tutta la provincia sull'asse che conduce alla penisola sorrentina. Mezzo, si intuisce, tra i più usati e dai locali e, cosa importante, dai turisti.
Nel footer del sito da bella mostra di se una dicitura sponsorizzata che recita letteralmente
Realizzato con la piattaforma per siti accessibili Nebula 2 di CRISMA Srl
Un veloce check mostra quanto la accessibilità tanto sponsorizzata sia solo slogan e non corrisponda minimamente ai fatti.
Vesto I panni dell’utente tipo in cerca di informazioni (panni verissimi in quanto sono alla ricerca di info riguardo gli orari e le linee) e procedo.
La homepage presenta già segni della forma mentis con la quale l’utente si troverà a combattere lungo il vettore che lo divide dal fine che vuole raggiungere.
A che pro quel ‘[C]Cerca nel sito’?
E perché mai così poco spazio a disposizione del campo di ricerca quando tutta la testata è là ad occupare spazio con alcunché al suo interno?
I vezzi, le trovate, sarebbe meglio lasciarle per il proprio sito personale, ove si può tranquillamente giocare ai “creativi”. In un sito istituzionale, che fa della fornitura di servizi la propria raison d’etre, è necessario che tutto ciò che vien presentato all’utente sia funzionale alle motivazioni che hanno spinto quest’ultimo a visitare il sito.
La eccessiva ridondanza per cui sono presenti un ‘cerca nel sito’ ed un ‘vai’ non fa altro che aumentare il rumore percettivo. Il campo viene identificato, in quella posizione, come campo di ricerca. Non vi è alcun bisogno di aggiungere ulteriori informazioni. Invece di un ‘vai’ (dove, poi?) usare il pulsante per sottolineare l’azione che l’utente andrà a compiere. In breve:
- Campo di ricerca
- Pulsante con dicitura ‘cerca’.
In questo modo si sarebbe ottenuta maggiore pulizia con conseguente miglioramento della leggibilità della informazione presentata.
La domanda che immediatamente viene alla mente, osservando il primo row della testata, è ‘perché tutto così compresso quando vi è tutto questo spazio a disposizione?’
Il campo di ricerca è di dimensioni minuscole a maggior ragione se si pensa che la ricerca tipo del sito sarà di indicazioni circa orari e quant’altro che richiedono l’inserimento di almeno due termini (partenza - arrivo).
Avendo tutto lo spazio a disposizione perché non dare al campo di ricerca quelle 10 colonne in più che avrebbero dato all’utente la possibilità di vedere ciò che ha digitato diminuendo così le occorrenze di bad typos?
Abbiamo poi una ‘icona’ che sta a rappresentare un link alla mappa del sito. Questa pratica, diffusa in Italia, è giustificata con una presunta aumentata usabilità del sito in quanto l’utente può controllarne la mappa per orientarsi. In verità, il miglior design è quello che passa inosservato e non intralcia il task che l’utente sta svolgendo. Se un sito delle minuscole dimensioni di www.circumvesuviana.it abbisogna di una mappa vuol solo dire che il designer non ha lavorato abbastanza per rendere la struttura del website trasparente ed intuitiva (noi, infatti consultiamo una mappa quando ci vogliamo orientare in un luogo a noi ignoto di cui sappiamo solo il punto di partenza e quello di arrivo. Guarda caso non consultiamo la mappa dei luoghi abituali. Il punto in questione è proprio questo. Rendere un website talmente usabile e consistente con le aspettative e, dunque, le abitudini percettive dell’utente da eliminare del tutto il bisogno di una mappa con la quale orientarsi. Rendere il website familiare.)
Ora, dato la spazio a disposizione, perché usare una ‘icona’ (usiamo le virgolette per rispetto del lavoro degli icon designer che non apprezzerebbero l’accostamento del loro lavoro con questa ‘cosa’). Usare testo invece di una immagine avrebbe dato immediato feedback.
Abbiamo poi un ‘icona’ di ‘info’. Quest’ultima presenza è incomprensibile e segnala una gestione degli spazi confusa e non task oriented. Perché un link alla sezione ‘info’ nello spazio dedicato alla ricerca del sito? Dove è la consistenza della informazione? E' come se, sulla scatola dei biscotti, sotto la voce ingredienti trovaste le informazioni corporate del brand.
Stupisce poi la gestione degli spazi e delle pagine piene di landing che non fanno alcunché se non ribadire ciò che è già visibile nel menu.
Sorvoliamo su dettagli tecnici quali il non allineamento di alcuni elementi della pagina che segnalano il non completo test del sito su browser altri da IE6. Perché poi nel footer campeggi la solita iconetta di XHTML validation è un mistero.
Provando a fare una ricerca, ci ritroviamo il solito cambio di layout che è da addebitare alla pigrizia degli sviluppatori ed al fatto che, con tutta probabilità, il webdesigner era andato in ferie.
Notate il link 'nuova ricerca' in posizione astrusa.
Ma il colmo si ha con la pagina di 'caricamento risultati'.
Tutto sbagliato qui. Tutto. Da annotare la ironia della suddetta icona della validazione.
E non funziona neanche il loader, la cui persistenza dopo il caricamento dati è triste a vedersi e aumenta la confusione dell'insieme.
Altre appunti ancora sarebbero da muovere al sito in questione ma non è utile ad alcuno maramaldeggiare.
Accessibilità. Un'altro termine da mettere nella lista delle certificazioni da ottenere o dei bollini da appiccicare.
Accessibilità. Un'altro termine da spendere in modo ampolloso per circuire il cliente.
Accessibilità come distinto da usabilità.
Ma é possibile un sito accessibile che non sia in primo luogo usabile?
venerdì 16 maggio 2008
Generation Y. Il marketing e il trono vuoto
Almeno così ci dice Business Week.
Cosa differenzia, dal punto di vista sociologico e di analisi marketing, questa generazione da quelle che l'hanno preceduta?
Potremmo riassumere con Socialmente Connessi.
- Sono connessi digitalmente. Sempre. E questa suona come una ovvietà, tanto la rete è pervasiva.
- La Televisione non la fa più da padrone ma ha il suo dominio attaccato da altre periferiche. Computers, certo ma non solo. iPod, telefoni cellulari, periferiche di terza generazione, periferiche di convergenza etc.
- Sono consci di essere sotto l'attacco del marketing. La pubblicità viene vista sempre più con sospetto quando non con la derisione di chi si rede conto di essere il bersaglio ma vede, nel contempo, che chi mira non mira neanche tanto bene (non avendo compreso bene il target) e non ha scelto bene le sue cartucce (il codice comunicativo adeguato, non avendo compreso il target).
- La pressione dei pari ha maggior valore del messaggio pubblicitario diretto. Questo è logica conseguenza del punto appena enunciato in quanto si tende ad avere fiducia in coloro che usano, bene, lo stesso codice comunicativo che manca, per ora, agli Advertisers.
- Il lavoro non è il loro orizzonte unico di vita. Ciò non vuol dire che non lavoreranno. Vuol dire più semplicemente che hanno a cuore anche altri valori e non si identificano con il lavoro che svolgono.
(questo punto, ovvio, non si adatta alla realtà lavorativa italiana. Le analisi sociali 'grossolane' non tengono mai in conto le variabili, giustamente)
Ciò conduce ad una diversa prospettiva nella relazione lavorativa e orizzontale (con i colleghi) e verticale (con i superiori). Sono meno malleabili per paura di 'perder il posto di lavoro' (anche questo pare non esser cucito sul giovane italiano medio) e più attenti alle relazioni interpersonali (non il 'collega' ma un possibile amico).
Che la rete portasse ad una minore fidelizzazione al brand, è cosa prevista ma che l'esser connessi costringesse ad una rimodulazione dei codici comunicativi e della metodologia stessa forse non era stato messo in preventivo*. Questo è quanto accade ora con i Social Networks e la stizza degli advertisers che si stanno scervellando per trovare un modo per capitalizzare su questo numero altissimo di clienti possibili che, però, son diventati ad-blinds.
Come procedere?
Forse, come da più parti suggerito, abbandonando il concetto di target e mirare ai segments of one (che vanificano il concetto stesso di target come usato nel marketing tradizionale).
Ma questo è più facile a dirsi che a farsi.
ps. Ma questa Gen Y esiste solo oltre oceano?
*forse. Kotler aveva già annusato il problema, da par suo.
La concorrenza in rete
In rete, essa si manifesta in forma trasversale.
I produttori di informazioni rilevanti per i propri clienti target possono anche non essere nel proprio settore o nella propria nicchia.
Molti website di infomediari, ad esempio, colpiscono proprio questo punto offrendo informazioni che potrebbero (e dovrebbero) essere trattate nella nicchia di appartenenza. Ciò vuol dire che immettersi sul mercato in rete vuol dire concorrere anche con questi infomediari oltre che con i competitors diretti.
Un website specifico di un franchising per la casa, ad esempio, si troverebbe a competere non solo con altri franchising che offrono la stessa tipologia di prodotto sotto brand diverso ma anche con portali generalisti che trattano il settore in questione oltre tutto il resto ma che possono offrire un parco maggiore di offerte in quanto non sono limitati al catalogo orizzontale e verticale del franchising.
Occorre in questo caso competere sulle informazioni erogate, che devono andare oltre il semplice annuncio, e sui servizi offerti, che devono andar oltre la semplice esposizione del prodotto.
Un piano di web marketing che non parta da questo assunto avrà seri problemi ad ottennere un ritorno sull'investimento.