sabato 7 giugno 2008

Per una accessibilità fallibile. Invito al dialogo

Mi accingo a rispondere ai commenti fatti da Marco Bertoni non per spirito di polemica, che ritengo inutile, ma per cercare, attraverso la dialettica, di circoscrivere un background comune in grado portarci oltre le affermazioni assolute nel territorio della fattibilità.

Una premessa é doverosa. Non mi ritengo 'rivale' di alcuno perché non combatto per primeggiare. Mi limito ad argomentare. Se la discussione si rivelerà proficua, tanto meglio. Altrimenti si tornerà tutti alle proprie attività.

Ribadire la necessità di scrivere codice sintatticamente e semanticamente corretto è utile e propedeutico proprio perché è un atto d’accusa contro chi non lo fa. Quello che tu consideri un “non requisito”, un’ovvietà come la necessità della diagnosi prima del farmaco, per me è il requisito per eccellenza, quello che in se contiene tutti gli altri. Quello più necessario, perché così i medici prima o poi lo capiranno che i farmaci non si prescrivono senza prima visitare il paziente. Certi medici, senza regole e controllo, sono letali. La corretta strutturazione e la semantica del contenuto sono la chiave dell’accessibilità del Web, non si può in alcun modo rinunciarvi.


Mi spiace ma continuo a dissentire e per lo stesso motivo che ci ha visto concordare in altri non remoti tempi.
Mi pare controproducente insistere sugli effetti cercando di correggere questi ultimi invece di intervenire sulle cause. Queste ultime sono da ricercarsi in una commistione di forma mentis ed interessi economici che occorrerebbe almeno identificare per poter poi cercare di mirare nel processo comunicativo e legislativo. Un problema ben posto contiene in sé la sua soluzione, diceva qualcuno ad inizio secolo scorso. Spirito scientifico, certo. Ma é chiedere molto adottare un criterio scientifico in un atto legislativo?
Così come si propone, la norma prende i classici fischi per fiaschi. Ignoro l'analisi del contesto e mi rivolgo agli operatori singoli invece di intervenire a monte sul contesto economico e professionale che genera l'effetto.
Continuiamo a guardare il dito invece di rivolgere lo sguardo a colui che indica, allora. Del resto, scusate la digressione in campi altri, mi pare siamo maestri nel non affrontare mai le cause dei problemi ma limitarci solo alla spazzatura del momento.
Meglio gli inceneritori a valle oppure intervenire a monte sugli interessi nascosti in alto loco e sul substrato culturale dei singoli con opportuna educazione allo smaltimento rifiuti?

Ripetiamo. La adesione agli standard non é opzionale ma é fondamento del mestiere che si sta svolgendo. É l'esame di ammissione alla professione.
Ma come fare a discernere la pigrizia ed il pessimo professionista dalle esigenze commerciali e di Project Management che prediligono frameworks custom-made di migliaia e migliaia di righe di codice alla base di prodotti, passati presenti e futuri, forniti a grosse aziende?

Rimane quindi, come soundtrack inascoltata, il problema economico del porting di blocchi consistenti di codice. Cui prodest?
(Il commerciale si accontenta del bollino blu che basta ed avanza a vendere il prodotto. Non ci raccontiamo favole)


Un’azienda privata può decidere se perseguire o meno una politica di responsabilità sociale (che, detto per inciso, offre un ritorno di immagine che piace anche ai famigerati commerciali). Nessuno di noi può sindacare le scelte di costoro. Ma per una pubblica amministrazione il discorso cambia. Se siamo d’accordo che le amministrazioni pubbliche esistono per servire tutti i cittadini, e se concordiamo sul fatto che un disabile è a tutti gli effetti un cittadino come gli altri, allora non mi “fermo a riflettere”. Se Google vuole usare iframe come se piovesse, nessun problema: perderà una percentuale di utenti non vedenti. Peggio per Google. Ma se un’amministrazione discrimina un gruppo di utenti utilizzando una tecnologia non accessibile, questo è inaccettabile.


La risposta conferma la mia obiezione senza darlo a vedere.
La argomentazone primaria é infatti data dal caso delle Aziende di Servizi Pubblici che, come da me affermato, sono giustamente costrette a rispettare queste norme.
La mia obiezione, ripeto, dà voce a tutt'altra categoria, business, che ha tutt'altri criteri per operare. Qui i campi ove entrambi lavoriamo influenzano, ovvio, le nostre prospettive sul tema. Infatti, ciò che vien detto circa la perdita di percentuale cliente non tiene conto di una regola basilare del business. Un cliente smette di essere profittevole quando lo sforzo per accontentare le sue richieste supera il ROI che da questi ci si attende. Insomma, dove é il margine?
Sarebbe peggio per Google inseguire questa nicchia. Sarebbe un suicidio commerciale.
Dovunque, non solo in rete, si può osservare questo semplice criterio all'opera. Dirigetevi in qualsiasi libreria della GDO (Feltrinelli, FNAC etc) e date una occhiata al catalogo (sia quello verticale sia quello orizzontale) ed al comportamento dei commessi istruiti ad hoc.

Brutalmente, mettersi ad annichilire un servizio innovativo capace di ingenerare effetto halo e, dunque, di operare un lock-in cognitivo al brand con la applicazione della Legge di Metcalfe e conseguenti ricadute positive sugli introiti pubblicitari, mi pare non irreale ma una emerita sciocchezza se, come pare lapalissiano, siamo ancora nel regime chiamato capitalismo.

Continuo a credere che si parta da due posizioni differenti (non divergenti a priori, sia bene inteso). Una prospettiva business oriented ed un'altra public service oriented. Invito al dialogo su queste differenze che personalmente rispetto e riconosco nella loro specificità. Non so quanto valga la contraria.

Ma certo. E’ evidente che la sottolineatura dei collegamenti è utile esclusivamente nei blocchi di testo. Anche il daltonico conosce le convenzioni di design (i menu ecc.). E’ una cosa che, onestamente, davo per scontata. Nessun esperto di accessibilità sano di mente chiede un’orgia di sottolineature.


Bon. Le note però non parlavano dei blocchi di testo ma di generici collegamenti. Io so a cosa si riferisce il tutto ma i lettori dei tuoi requisiti lo sanno? A giudicare dai posts nei forum e nei blogs pieni di zeloti che invitano all'underline dovunque, alla accessibilità confusa con la usabilità (yep. qualcuno confonde i temi della accessibilità con quelli della ottimizzazione delle risorse in caricamento...) etc, mi sa che é meglio esser chiari su questo punto. Si rischia di generare eserciti della salvezza bravi ad obbedire ai decaloghi ma male attrezzati nel pensiero autonomo.


Le ricerche di eyetracking dimostrano che finestre pop-up, banner lampeggianti, colonne di advertising ecc. sono bellamente e sistematicamente ignorati dagli utenti. Lo stesso Nielsen propone un approccio non etico: “making the ad look like content”.

Ma non capisco cosa tu veda di male nella sacrosanta regola che impone di evitare un attacco di epilessia al prossimo. Il requisito cinque dice solo questo, non proibisce banner o pubblicità. Attenzione a non fare il solito terrorismo sui requisiti.

Comunque abbiamo capito che le argomentazioni a favore della pubblicità lampeggiante e “esplosiva” sono inesistenti. Ci si chiede perché si continui a produrla. Un amico che lavora in pubblicità mi ha confessato che spesso a chiedere pop-up, animazioni e banner sono i clienti “ignoranti” e loro si adeguano. Perché contraddire un idiota che paga?


A dirla tutta non abbiamo visto un bel niente circa la insesistenza delle argomentazioni a favore della pubblicità, anzi (a giudicare dal suo uso effettivo). Né mi pare che dalla risposta si evinca una argomentazione contraria con opportune proposte alternative scalabili a livello di business se non la mera constatazione di quanto da me già affermato e cioè il fenomeno dell'ad-blindness.

Siamo ancora in attesa di trovare un modo alternativo per guadagnare dindi attraverso la pubblicità. Se coloro che bollano la pubblicità 'esplosiva' hanno trovato il Santo Graal del nuovo advertising Microsoft è in loro attesa con assegno in bianco firmato.
In attesa del mito ci dobbiamo accontentare di solo tre possibilità. Banners tradizionali, Ad-sense e in-context-ad camuffato che è peggio ancora del male che vorrebbe curare (come Bertoni giustamente annota) in quanto renderebbe di fatto inusabile la intera mole di informazioni di internet propagando rumore misto a contenuto.

Battutacce a parte, continuo a ribadire il mio invito a tener conto di fattori diversi e, spesso, contrastanti. Se si bolla come non esistente una delle due posizioni come si giungerà ad una strategia capace di essere, insieme, efficace e rispettosa delle esigenze di tutti gli attori?


Nessuna requisitoria da parte mia, si tratta di interpretare le richieste di un requisito di legge. Personalmente non ho nulla contro i layout fissi


Devi usare un layout liquido (elastico).

Non mi pare una interpretazione. É piuttosto, in termini di linguistica, una normativa segnalata con tanto di imperativo.
Un invito alla interpretazione sarebbe stata qualcosa di simile a
Si dovrebbe usare, considerate le problematiche tecniche, la aderenza alla piena compatibilità cui qualsiasi web site deve obbedire e la analisi della usabilità, un fixed layout.

Questo è un modo decente per comunicare una esigenza lasciando spazio all'atto interpretativo constestualizzato.

Secondo me esageri a scomodare Platone. Questi requisiti non chiedono nulla di impossibile e non sono nella direzione sbagliata, sono solo perfettibili come ogni cosa umana. Io scelgo di provare a migliorare le cose dall’interno.


Non ho mai detto che siano impossibili (l'iperuranio non é impossibile, solamente ideale. Un type logico assoluto). Dico che applicano ciò che va bene per una parte al tutto. Pars pro toto. Questo si chiama assolutismo che é ciò che sto invitando ad evitare.
Ho lodato Bertoni e continuo a farlo per il suo impegno nel cercare di migliorare, nella sua sfera di influenza, la situazione attuale sulla quale, come si può leggere altrove, siamo in perfetto accordo.
Le mie note sono, appunto, a margine in quanto tendono a segnalare la esistenza di alcune problematiche e non vogliono essere se non una 'critica' nel senso classico del termine, una analisi, una proposta. 'Critica' non è invito allo sbarramento unilaterale ma la voce dell'altro. In questo caso, di esigenze altre.

Questo non è più vero con il Flash Player 9. Attenzione a non dare informazioni inesatte ;).
Comunque, come ho detto in altra sede, è sbagliato confondere l’accessibilità del filmato Flash in sé con i limiti dell’implementazione cross-platform e cross-browser dei plug-in.


ahem.

Chiedo scusa ma sono utente Mac e Linux (debian) ed uso Windows quotidianamente per double-check. I miei problemi sono pratici e richiedono risposte concrete non Adobe PR.
Seguo con attenzione gli sviluppi multipiattaforma senza cedere alla via facile del numero.



Confondere l'output con il framework che rende possibile il delivering dell'output è sbagliato?
Come si conta di visualizzare un swf senza il player che lo rende visualizzabile?
Come si ha un bicchiere d'acqua dal rubinetto senza la rete idrica?
Senza una lingua esistono le parole?
Possiamo scrivere una funzione senza un sintassi formale di programmazione?
E così via.

Andiamo.

Il requisito ventuno è, credo, l’unico che è stato richiesto a gran voce da chi rappresentava i disabili motori. Niente “bignami frettoloso”, quindi, ma attento ascolto delle istanze degli utenti disabili. Non dimentichiamo mai chi sono i destinatari dei benefici arrecati da questi requisiti. Le persone disabili. Ti assicuro che un pixel di distanza tra un pulsante e un altro per chi ha scarso controllo del sistema di puntamento è una cosa delinquenziale. Qui non si tratta solo di percezione visiva delle differenze, ma di destrezza manuale.

Se vogliamo parlare insieme di accessibilità dobbiamo sempre porci dalla parte del disabile, e cercare di capire le peculiarità di ogni disabilità.


Nope. Esiste un concetto vecchio come il bacucco (lo trovi nelle prime Apple HIG - Human Interface Guidelines) che si chiama Hotspot. Un pixel di differenziazione basta ed avanza se si ha cura del layout degli hotspot. Se poi il designer dorme e cazzeggia allegramente con i tutorials sul css, le regolette del SEO etcetera invece di studiare l'abc del GUI design, il problema non é del pixel ma del designer. Diamo una svegliata ai designer e tutto verrà di conseguenza. Limitiamo il 'designer' ai corsi regionali e scuole dove si limitano ad insegnare a cliccare bottoni in Dreamweaver e Fireworks ed ecco che abbiamo questi risultati. Ancora una volta problemi di formazione e forma mentis.
Che poi occorra mettersi nei panni del'utente in questione, é assolutamente fuori discussione. Non saremmo neanche qui a discutere di tutto questo altrimenti.

Se, notizia di ieri, il sito dei carabinieri vince un premio come miglior design usabile ed accessibile mi sa che vi è qualcosa che non va nella struttura, altro che aderenza agli standards. Se posso aderire agli standards del codice e, nel contempo, produrre un flusso interattivo da calci in culo agli utenti, possiamo dire che la aderenza agli standards da sola non basta ad assicurare un bel nulla?